La Torà scritta non ha alcuna prescrizione positiva circa i riti funebri ebraici, anche se il testo sottolinea l’importanza della sepoltura del corpo umano dopo la morte e la sua destinazione. Saranno i libri e gli insegnamenti dei maestri successivi a formare un complesso di riti funerari che è entrato nella tradizione e liturgia del popolo d’Israele.

In estrema sintesi posiamo dire che nella cultura ebraica il lutto ha due obiettivi: il rispetto per il defunto (kevod ha-met) e il conforto per il vivente (nihum avelim). Quando la persona muore uno dei presenti deve chiudergli gli occhi, porre il corpo sul pavimento, coprirlo con un lenzuolo e recitare una particolare benedizione: Barukh atah Adonai Eloheinu melekh ha’olam, dayan ha-emet. (Traduzione: “Benedetto sei Tu, Signore, nostro Dio, Re dell’universo, Vero Giudice).

Ai familiari stretti (genitore, figlio/figlia, coniuge o fratello/sorella) vengono strappati i vestiti, per rimarcare il lutto e il dolore, come fece Giacobbe che si strappò i vestiti quando seppe della morte del figlio Giuseppe. A loro è vietato, in segno di lutto, mangiare carne e bere vini, non concorrono a formare il minian (quorum di dieci ebrei per la preghiera pubblica ebraica) e sono esentati nei giorni feriali dalle mizvot (precetti) positive dalle berakot (benedizioni) e dalle tefillot (recitazione di testi eucologici)   

Da quel momento fino a quello della sepoltura il defunto non dovrà essere lasciato solo, ma i famigliari e gli amici dovranno vegliarlo. Segue il lavaggio (rehizah), che corrisponde simbolicamente all’avvenuta purificazione (taharah) del corpo dopo l’uscita dell’anima. Il corpo viene asciugato e vestito con un semplice indumento di cotone bianco. Fuori dalla terra d’Israele, se la persona in vita aveva usato un tallit (scialle di preghiera) lo si avvolge attorno al cadavere al momento della sua posa nella bara. La tradizione ebraica vieta ogni altra vestizione, trucco cosmetico o imbalsamazione.  Il defunto, posizionato nel feretro e coperto con un lenzuolo, non viene esibito. Tutto ciò al fine di evitare ogni forma di idolatria o venerazione.

“Polvere sei e alla polvere tornerai” afferma in maniera secca e cruda il Signore nella Bibbia ad Adamo che ha disobbedito ai suoi ordini e ha mangiato il frutto proibito dall’albero della conoscenza. (Genesi 3: 19). Il nostro corpo è pertanto destinato a decomporsi e il rito cerca di aiutare tale processo naturale, avvolgendo il defunto in un semplice lenzuolo e ponendolo nella terra. In effetti la pratica più diffusa e oggi l’unica accettata fra gli ebrei ortodossi è quella della inumazione del corpo. In epoca biblica si seppellivano spesso i defunti in nicchie scavate all’interno di caverne, come fece Abramo con Sara. Tuttavia, in epoca post-mishnaica, cioè dopo la distruzione del secondo tempio, i rabbini dichiararono che la sepoltura in terra era il modo corretto e tale è diventata la norma. 

Sempre al fine di evitare qualsiasi forma di venerazione il rito ebraico prevede che la sepoltura avvenga nel più breve tempo possibile. Maimonide, ad esempio, basa la regola sulla obbligazione biblica di seppellire un condannato a morte subito dopo l’esecuzione: “Quando un individuo avrà commesso un delitto passibile della pena di morte e sarà giustiziato, lo appenderai ad un albero. Ma il suo cadavere non dovrai far pernottare sull’albero, lo seppellirai in quello stesso giorno…”   (Deuteronomio 21:22- 23).  Il Shulhan Arukh (testo normativo e ritualistico ebraico redatto nel XVI secolo)  fa rimarcare che tale rapidità non sempre è possibile: si può attendere una notte per avere una bara decente o l’arrivo dei parenti, anche se è vietato ogni indugio, salvo quando questo sia in onore del defunto.  Sarà comunque il rabbino che avvertito del decesso e consultato deve stabilire la data del funerale.  

La semplicità e durezza del rito non inficiano il fatto che il testo biblico sottolinea l’importanza della sepoltura e del luogo in cui essa avviene. Abramo, alla morte di Sara, compra, dopo una serrata trattativa, un campo e una grotta dove seppellirà la sua amata moglie: “La vita di Sara fu di centoventisette anni. Tanti furono gli anni della vita di Sara. Morì a in Kiriath Arbà ora Chevron, in terra di Canaan; e Abramo venne a fare esequie a Sara e a piangerla. Levatosi poi da presso il suo morto parlò così ai Chittei: «Io sono presso di voi un estraneo, un forestiero, datemi in proprietà un sepolcro sì che io possa togliermi il morto che mi sta davanti e seppellirlo». (Genesi 23: 1-4). Segue una tipica trattativa commerciale con ‘Efrom, capo dei Chittei, alla fine della quale Abramo pagò l’importante somma richiesta: quattrocento silici d’argento. “Così il campo di ‘Efron, posto in Machpelà di fronte a Mamrè, il campo e la grotta che è su di esso, tutti gli alberi estesi nel campo, dentro i suoi confini all’intorno, passarono in proprietà di Abramo…. Dopo di che Abramo seppellì Sara sua moglie nella grotta del campo di Machapelà” (Genesi 23: 17-18).  In quel luogo verrà seppellito Abramo Isacco, la moglie Rebecca, oltre a Leà, prima moglie di Giacobbe e lo stesso Giacobbe per sua espressa volontà: “«Io sto per riunirmi alla mia gente; seppellitemi presso i miei padri nella grotta che è il campo del chitteo nella grotta che è nel campo di Machpelà di fronte a Mamrè in terra di Canaan.» (Genesi 49: 29-31).

Tutto ciò a significare l’importanza della sepoltura, nonché il fatto che essa debba avvenire in un posto bello ma lontano e separato dalla vita quotidiana. Ecco perché i morti non transitano dalla sinagoga, come avviene nel modo cattolico, ma i morti vengono rapidamente portati in cimitero, dove viene celebrato una breve funzione.

È considerato meritorio nei confronti del defunto e di conforto ai superstiti seguire il feretro per un tratto di strada, assistere al seppellimento e collaborare fisicamente a coprirlo di terra. L’accompagnamento funebre e il seppellimento sono preceduti e seguiti da letture e canti vari a seconda degli usi.

Dal momento in cui il cadavere è ricoperto i terra incomincia per i congiunti stretti inizia il periodo di lutto (aveluth)che dura sette giorni nei quali è vietato lavorare, studiare (anche la Torà), uscire di casa se non per gravi motivi, ecc. Trascorsi sette giorni di lutto rigoroso, non si possono tagliare la barba e i capelli per un mese, e sempre nel caso di pare parenti stretti bisogna recitare il Kaddish ogni giorno.