La nascita del cimitero Monumentale ebbe una gestazione lunga e travagliata, cominciata nel 1837 su sollecitazione dell’amministrazione austriaca del Regno Lombardo-Veneto. Diversi progetti si succedettero per oltre vent’anni, fino a che, sopraggiunta la liberazione dall’Austria, il nuovo Comune di Milano, nel maggio 1860, sospese ogni lavoro e decise di indire un nuovo concorso al quale parteciparono ventuno progetti fra cui quello di Carlo Maciachini, che venne scelto nella seduta consigliare del 10 luglio 1863.

Carlo Maciachini (1818-1899), fino ad allora architetto quasi sconosciuto, dall’inizio del progetto del Cimitero Monumentale, previde, accanto al grandioso ingresso principale dedicato ai cattolici, sulla sinistra un reparto dedicato ai cristiani acattolici (protestanti, mussulmani e liberi pensatori) e sulla destra uno per gli israeliti, a testimonianza della loro influenza nella vita economica politica e civile.

Secondo la guida del Touring Club Italiano del 1914 il Cimitero Monumentale è “un indice della palese ricchezza dei Milanesi”, ma noi potremmo aggiungere anche degli ebrei. Osservatori del tempo lo definirono di “stile lombardo moderno”, conforme all’architettura eclettica ufficiale del tardo XIX secolo. La facciata del cimitero si sviluppa longitudinalmente attorno all’imponete Famedio, da cui si dipartono le ali laterali porticate concluse da edicole poligonali. Da queste si raccordano le gallerie inferiori e superiori di ponente e levante, che delimitano a sinistra le aree dedicate agli acattolici e a destra quelle consacrate agli israeliti. Maciachini scelse con cura i materiali provenienti da tutta l’Italia del cimitero: le soglie, i gradini e gli zoccoli sono in granito bianco, i pilastri e le colonnette in granito rosso lavorato a martellina, le cornici di coronamento dei colombari in ceppo gentile dentellato, la copertura dei colombari in beola, gli zoccoli dei basamenti dei colombari in nero d’Ascona, i cordoli in pietra di Sarnico, gli zoccoli del perimetro in serizzo, le basi dei pilastri in pietra della Valcamonica.

 

 Il Riparto Israelitico, progettato nei dettagli tra il 1870 e il 1871 e costato secondo la documentazione preservata presso l’Archivio Storico Milanese £ 57.568.12, prevedeva originariamente un ingresso indipendente che permetteva di accedere a tre grandi campi comuni separati da stretti vialetti ad aree più piccole per le sepolture private. Il Riparto fu poi sottoposto a vari ampliamenti a sud e a est degli originari campi 1 2 e 3, dove sono presenti le tombe più vecchie, con la creazione dei campi 4, 5 e 6, oltre al così detto “ampliamento”, a seguito delle numerose richieste di sepolture. In questo modo in un quadrato quasi perfetto il cimitero raggiuse circa 5000mq. L’ingresso venne spostato più a sud e l’alto muro di cinta più a est, mentre nelle pareti verso il resto del cimitero vennero collocate numerose cappelle, colombari e ossari.

I tre campi comuni hanno piccole lapidi con il nome del defunto, quello centrale è riservato ai bambini, i due laterali agli adulti, le date di sepoltura vanno dal 1873 al 1894. Dopo quella data gli ebrei defunti furono ospitati al cimitero di Musocco al campo 8.

Il padiglione al centro del cimitero era in origine l’entrata del riparto ed è simmetrico rispetto a quello analogo degli acattolici. Il tempietto è a tre fornici con absidi laterali poligonali, archi a tutto sesto e pilastri con agli angoli colonnine decorate con capitello. A coronamento della facciata vi sono le tavole di Mosè con i comandamenti in pietra di Rezzato.

Nel 2014 la famiglia Sabbadini Eskenazi sponsorizzò tutto il restauro del padiglione con la direzione dell’architetto Monteverdi e la direzione artistica di Diego Penacchio Ardemagni, che fu incaricato di realizzare le vetrate istoriate ispirandosi e traducendo con piena libertà le dodici vetrate che riproducono le altrettante tribù di Israele, create da Marc Chagall nella sinagoga dell’Ospedale Hadassa di Gerusalemme. La tecnica di realizzazione è la medesima che egli adoperò per quell’ opera: vetri soffiati all’uso antico placcati e incisi dipinti a gran fuoco, realizzati dai Laboratori Lambert di Francoforte. Su queste sono raffigurati fiori, pesci, uccelli e stelle su paesaggi stilizzati oltre ad una serie di simboli tipicamente ebraici, come un candelabro a sette braccia (menorah) e le tavole della legge, mentre in alto troviamo i nomi dei capi delle dodici tribù d’Israele nominate nella Torah.

Il padiglione è utilizzato per la celebrazione delle cerimonie di sepoltura con preghiere da parte del rabbino. L’edificio, che ospita numerose tombe sulle pareti laterali, contiene un pregiato seggio rabbinico in legno rivestita di bronzo con scritte in ebraico e decorazioni realizzata dallo scultore Mario Quadrelli alla fine del ’800, proveniente dall’edicola Pisa. Tra le persone sepolte nel padiglione si ricorda il compositore Aldo Finzi (Milano 1897-Torino 1945), autore tra le due guerre di opere liriche, musica da camera e musica sinfonica.

Tra le numerose edicole al centro del lato settentrionale si staglia quella neogotica dedicata a Leon David Levi, banchiere e cambiavalute di origine mantovana, da tempo abbandonata. È opera dell’architetto Ercole Balossi Merlo, che, attraverso archi ogivali e pinnacoli, ha voluto esaltare la verticalità della costruzione. Di particolare rilevanza architettonica è anche l’edicola commissariata da Ugo Pisa, garibaldino, banchiere, senatore e filantropo, opera di Carlo Maciachini, architetto dello stesso Cimitero Monumentale. L’edicola, che rivela accenni vagamente medio-orientali, si nota per il grande rosone. Si distingue anche la cappella della famiglia Goldfinger, dovuta all’architetto Luigi Perrone. In essa è particolarmente bella la porta scolpita dal celebre architetto Giannino Castiglioni, in cui un albero di melograno rimanda alla tradizione ebraica che vede, nei numerosi semi di questo frutto, un simbolo di abbondanza e fertilità. Infine, tra i tanti monumenti che meriterebbero di essere raccontati, ci piace ricordare la bellissima edicola della famiglia Treves del 1906 dello scultore Ettore Ximenes in marmo di Carrara con fascia ad altorilievi in bronzo. In essa sono raffigurati i momenti della vita dell’editore Emilio e del fratello Giuseppe con la moglie e scrittice Virginia Tedeschi, in arte Cordelia, circondati, da una parte, da amici scrittori, tra i quali si riconosce Gabriele D’Annunzio, Edmondo De Amicis e Giovanni Verga, e dall’altra, dalle maestranze della tipografia intente nel moderno processo di riproduzione fotomeccanica e quindi di stampa delle illustrazioni, tecnica che rappresentò la fortuna della casa editrice.

Non si possono non menzionare il Monumento a Cesare Sarfatti, celebre avvocato e penalista prima di orientamento socialista e poi seguace di Mussolini, presidente della Cariplo dal 1923 al 1924 e marito di Margherita Grassini Sarfatti, l’amante di Mussolini; il Monumento a Luisa Estella Jung, la piccola morta a quattro anni, ritratta con vivo realismo; e il Monumento ai Martiri Israeliti del Nazismo, eretto dalla Comunità Ebraica di Milano nel 1947, con una grande menorah, candelabro ebraico a sette braccia, in marmo grigio e le spoglie di dodici vittime barbaramente uccise, oggetto di una cerimonia annuale di commemorazione.[1]

[1] Lalla Fumagalli e Carla De Bernardi (a cura) “Un Museo a celo aperto. Il Cimitero Monumentale di Milano” 2013;